Quando il preservativo diventa un obbligo di stato: la storia di una Cina divisa dalla politica del figlio unico

In poco meno di tre generazioni, dal 1949 al 2017, la politica cinese, in merito alla propria crescita demografica, ha modificato radicalmente il proprio orientamento, destabilizzando non poco le sorti del paese. Tutto è cominciato nel 1949, quando salì al potere Mao Tse-Tung, che si fece promotore delle parole di Confucio “Più bambini significa più felicità” e “I bambini avuti presto portano presto la felicità”, dando luogo ad una politica a favore della natalità, con sussidi per i bambini, la proibizione dell’aborto, della sterilizzazione e dei metodi contraccettivi.

Qualche anno più tardi fu consentito l’uso di contraccettivi e l’aborto divenne legale, ma fu nel 1973 che le cose cambiarono, perché venne introdotto un piano di pianificazione delle nascite.

Deng Xiao Ping, il successore di Mao Tse-tung, spaventato dalla sovrappopolazione della Cina, decise di cominciare una campagna di educazione al motto “Wan Xi Shao”, ovvero gravidanza in un’età più avanzata (Wan), un intervallo di 4-5 anni tra un figlio ed un altro (Xi) e soprattutto meno figli, massimo due per coppia (Shao). Questa politica andò sempre più strutturandosi in un vero e proprio sistema gerarchico, che culminò nella “Commissione di stato per la pianificazione familiare”. Da questo momento in poi la storia cinese assume tinte più fosche, perché la rigida esecuzione di queste leggi porterà ad una serie di abusi da parte delle autorità, come licenziamenti, pestaggi, torture, incarcerazioni, multe enormi, demolizione delle proprie case, sterilizzazioni, inserimento di strumenti di contraccezione intrauterina, aborti forzati e aborti selettivi per le bambine.

“In Cina – sostiene la Littlejohn, presidente dell’associazione “Women’s rights without frontiers”  – il corpo di una donna non appartiene a lei. Appartiene allo Stato. L’utero di una donna e la parte più intima del suo corpo, dal punto di vista fisico, emozionale e spirituale. Per questo il Partito Comunista Cinese, agendo come “polizia dell’utero“, distrugge la vita all’interno di lei. E questo è un odioso crimine contro l’umanità”.


La pagina più brutta della storia cinese è quella legata alle bambine, che vengono eliminate, perché secondo la tradizione, rappresentano la fine della stirpe di cui portano il nome, oltre al fatto che da adulte, vengono acquisite dalla famiglia del marito, non potendo così badare ai propri genitori, né potendo godere di salari equiparabili a quelli maschili. Per questi motivi, crescere una bambina è considerata una fatica inutile e difatti il tasso di mortalità delle bambine nel primo anno di vita è doppio rispetto a quello dei bambini ed il rischio di morte è di tre volte superiore per le bambine secondogenite rispetto alle bambine nate dal primo parto.

Questa costante eliminazione di bambine ha portato a uno squilibrio tra uomini e donne e all’aumento di quelli che vengono definiti “Guanguun”, ovvero rami secchi e cioè uomini single. Steven Mosher, presidente del “Population Research Institute” di Washington DC, afferma che nel 2007 erano circa 25 milioni gli uomini, in Cina, che non avevano la possibilità di sposarsi proprio a causa di una forte disparità tra uomini e donne. Una differenza che nel 2020, secondo l’ACSC (Accademia Cinese Scienze Sociali) sarà ancora più marcata, dato che si prospettano tra i 30 e 40 milioni di uomini in più rispetto alle donne. Questo ha portato ad un incremento di prostituzione e stupri in tutto il paese.

Tutto questo perché, come ha confermato un sondaggio condotto dall’ospedale 411 a Shangai, meno del 30% delle donne è a conoscenza delle modalità di evitare una gravidanza e solo il 17% sa che le malattie veneree si contraggono per trasmissione sessuale. Più del 70% non conosce la modalità di trasmissione dell’HIV. Cosa ancora più grave, nonostante l’imponente campagna di pubblicizzazione della contraccezione avviata nei primi anni settanta da Deng Xiao Ping, l’utilizzo del preservativo nazionale è stato snobbato, nonostante le case produttrici cinesi siano le stesse che esportano in Europa e America. Solo nei primi anni del nuovo millennio, a seguito di numerose campagne governative, il preservativo è ormai diventato per i cinesi un oggetto ludico, una vera e propria moda, tanto che Tao Ran, direttore dell’Associazione degli industriali cinesi del preservativo e presidente della “Gobon Latex Products Manufactory”, dichiarava che entro il 2009 la Cina avrebbe prodotto più di 6 miliardi di profilattici e che la sola Gobon ne avrebbe fabbricati più di 710 milioni, dei quali il 30% sarebbe stato acquistato dal governo per la distribuzione gratuita.

Ma viste le conseguenze negative in termini di ricaduta economica che la politica della pianificazione familiare ha avuto e dato il rapido invecchiamento della popolazione, incapace quindi di fungere da nuova forza lavoro, la Corte Suprema Cinese, nel 2013, ha deciso di abolire la politica del figlio unico e di permettere alle coppie di avere due figli. Questa legge è diventata efficace dal 1 gennaio 2016, accantonando definitivamente una brutta pagina di storia che è durata per 35 anni.


L’inutilità femminile viene espressa dal nomignolo con cui vengono apostrofate: ”Lai Dai o Jai Dai”, che letteralmente significa “Vieni ragazzo, vieni, vieni”.