Un disturbo fisico e psicologico spesso taciuto e sul quale è facile fare dell’ironia riguardo l’importanza delle dimensioni è il vaginismo, meglio noto e semplificato come vagina stretta. Spesso infatti le donne hanno la convinzione irrazionale di avere una vagina troppo piccola per affrontare un rapporto sessuale.
Ad essere stretto però, in realtà, non è l’organo in sé: non esiste infatti una vagina troppo stretta per avere un rapporto sessuale, esiste invece una vera e propria patologia che rende impossibili i rapporti sessuali, anche in presenza di un normale desiderio.
Ad aiutarci a capire meglio questo disturbo, che si stima interessi l’1-2% delle donne in età postpuberale, è la dottoressa Francesca Di Pietro, psicologa di idoctors.it, alla quale abbiamo fatto qualche domanda per inquadrare la problematica da un punto di vista medico, nonché psicologico.
In che cosa consiste il vaginismo?
“Il vaginismo è un disturbo sessuale caratterizzato dalla paura e dall’angoscia della penetrazione associate ad una contrazione involontaria dei muscoli che circondano la vagina”.
Non esiste quindi tecnicamente una vagina stretta?
“La vagina in sé non affatto stretta, è anzi l’organo del corpo, forse in assoluto, più elastico ed estensibile: basti pensare che permette il passaggio del bambino durante il parto. La sua estensibilità è condizionata dalla tensione e dell’elasticità del muscolo che la circonda verso l’esterno, chiamato muscolo pubococcigeo.
Poche donne sanno che questo muscolo è soggetto a controllo sia volontario che involontario. Possiamo infatti contrarlo volontariamente quando per esempio vogliamo trattenere la pipì, possiamo invece distenderlo durante un rapporto sessuale desiderato ed aumentare il piacere contraendolo ritmicamente. Nelle donne che soffrono di vaginismo questo muscolo è invece contratto eccessivamente e in modo involontario, ed è questa contrazione a dare alla donna la sensazione di avere una sorta di muro, che a volte impedisce addirittura la visita ginecologica”.
Quali sono le cause psicologiche del vaginismo?
“Alcuni fattori psicologici predisponenti possono essere un’educazione sessuale rigida, dove la sessualità è associata a senso di colpa, vergogna o dolore. Ma la paura può anche essere legata a traumi emotivi specifici, quali pregresse molestie o tentativi di violenza fisica”.
Dal vaginismo è possibile guarire?
“Dal punto di vista psicologico, ritengo importante con queste pazienti partire da un approccio sessuologico educativo, cioè un avvicinamento alla sessualità parlando degli aspetti che riguardano la sessualità stessa, di come funziona, dell’anatomia, indagando così l’atteggiamento generale verso la sessualità, eventuali tabù, sensi di colpa, vergogna errate percezioni, favorendo la conoscenza, la consapevolezza e sperimentando la possibilità di potersi confrontare e aprire su questa tematica. È possibile utilizzare degli atlanti anatomici durante questo approccio educativo e si può chiedere alla paziente di disegnare la propria vagina per accedere al suo immaginario ed alle sue fantasie, che a volte possono essere distorte, tanto ad esempio da portare a credere di avere un’entrata bloccata, o che la vagina sia passaggio molto stretto, o ancora che il rapporto sessuale sia un atto pericoloso o disgustoso.
Molto importante è l’uso di tecniche che permettono alla donna di percepire le tensioni esistenti nella zona del bacino con l’ausilio di esercizi per la riabilitazione del pavimento pelvico, come gli esercizi di Kegel, che permettono di rendere consapevole la donna della contrazione e de contrazione del muscolo pubococcigeo.È importante quindi accompagnare la donna verso nuove strategie comportamentali che ristrutturano percezioni e consapevolezze. In questo modo si può ridurre la tensione muscolare e analizzare con la paziente la storia del sintomo, il suo significato, ed i tentativi di soluzione, poiché la sessualità riflette l’intera personalità dell’individuo e risente delle dinamiche intra ed interpersonali”.
Come si arriva alla diagnosi vera e propria di vaginismo?
Si può parla di vaginismo quando in un periodo di circa sei mesi e con conseguenze di disagio clinicamente significativo nell’individuo, sono persistenti o ricorrenti:
- un marcato dolore vulvo-vaginale o pelvico durante il rapporto o i tentativi di penetrazione vaginale;
- una marcata paura o ansia per il dolore vulvo-vaginale o pelvico prima, durante o come risultato della penetrazione vaginale;
- una marcata tensione o contrazione dei muscoli del pavimento pelvico durante il tentativo di penetrazione vaginale.
La paura della penetrazione che ne consegue e la contrazione involontaria dei muscoli che circondano la vagina, riflesso incondizionato che può essere paragonato a quello dell’occhio che chiude la palpebra quando un oggetto viene avvicinato ad esso, possono anche essere causa di un altro disturbo da dolore coitale quale è la dispareunia. I quadri sintomatologici tra le due patologie si differenziano però tra loro per un elemento centrale: la penetrazione, che nel primo caso di verifica, anche se non in maniera completa, mentre nel secondo non può mai avvenire.
Il vaginismo è sempre e solo un disturbo piscologico?
La contrazione involontaria dei muscoli del perineo, della vulva e dell’orifizio vaginale, è dovuta nel 90% dei casi da fattori scatenanti di natura psicologica e relazionale, quali appunto esperienza negative in ambito sessuale o tabù e problematiche di diverso tipo (religioso, educativo, sociale, di coppia) circa l’argomento.
A causare un’eccessiva attività del muscolo pubococcigeo possono però essere anche delle disfunzioni biologiche dovute a:
- cause neurologiche (quali ad esempio la neurodistonia muscolare);
- dolore cronico a livello genitale, anale o vescicale.
L’impossibilità ad avere rapporti sessuali può inoltre essere causata da fattori anatomici, quali:
- agenesia vaginale, la condizione medica nella quale la vagina non si è sviluppata completamente;
- imene particolarmente rigido e fibroso.