Le culture arcaiche
Le più antiche civiltà mediterranee erano per lo più agricole e avevano prevalentemente una religione ed un sistema sociale fondati sul matriarcato nel quale vigeva la poliandria. Non per caso la dea femminile per eccellenza, la Grande Madre (Madre Terra) si sposava e si accoppiava ogni anno a primavera con un nuovo consorte, rinnovando così il ciclo della vita. Da essa dipendevano la vita e la sopravvivenza di tutti.
Le numerose statuette di figure femminili, le veneri paleolitiche, che sono la testimonianza del culto della donna come fonte perenne di vita presentano un eccesso di attributi sessuali femminili: grandi natiche, seni prorompenti e fianchi tondeggianti.
Questo culto e questa dominanza sociale del “femminile” presenti soprattutto nelle più antiche civiltà mediterranee, quale quella minoica o cretese, si trasformano poi con i micenei, in un’organizzazione sociale basata sul patriarcato, sul maschilismo e sulla poligamia.
La civiltà spartana
Con gli spartiati, la popolazione di Sparta che si impose sui precedenti micenei, il rapporto tra uomini e donne divenne di circa 7:1. Non stupisce quindi che l’omosessualità maschile fosse particolarmente diffusa, anche se questi dovevano essere amfigeni, poiché le donne spartane continuavano a partorire figli.
La situazione opposta s’incontra a Lesbo, isola dell’Egeo. Poiché gli uomini validi lasciavano l’isola per lavoro per un lungo periodo dell’anno, si diffuse l’omosessualità femminile; ma anche in questo caso dovette trattarsi di amfigenia.
Nell’antica Atene erano quindi presenti allo stesso tempo sia l’omosessualità maschile e femminile che l’eterosessualità. Da un lato l’omosessualità femminile è vista con disprezzo e considerata come un’aberrazione (lo afferma il poeta Aristofane nel Simposio di Platone), dall’altro l’omosessualità maschile è intesa, soprattutto nella classe sociale più elevata, come la suprema espressione sia della virilità che della superiorità del “vero uomo” sull’uomo “comune”, considerato di poco superiore alla scimmia. Ci spiegheremo meglio: mentre nell’uomo “comune” trionfano gli istinti e le passioni, il “vero uomo” è libero sia dal peso del lavoro manuale che dal peso delle passioni e degli istinti, poiché egli solo è in grado di far trionfare su di essi la ragione.
La cultura della Grecia classica
Secondo Platone l’Amore non s’identifica con gli istinti e le passioni, ma con ciò che la ragione stabilisce essere il bello che coincide sia col vero che col bene; e la ragione dice che il bello è rappresentato dall’efebo (il giovane che ha appena raggiunto la pubertà).
Nel contempo l’amante maturo ha la gioia di plasmare un’anima nobile e l’efebo trova nell’amante una specie di amico-maestro-guida, il cui esempio e la cui costante conversazione lo farà diventare un uomo degno di questo nome.
Aristofane, nel già citato Simposio platonico dedicato al tema dell’Amore, parlando dell’origine degli uomini e delle donne, afferma che essi sarebbero nati dalla divisione degli androgini, esseri primitivi che erano una sorta di fratelli siamesi, alcuni maschio-femmina, altri femmina-femmina, altri maschio-maschio. Una volta divisi, i due “mezzi esseri umani” vanno ansiosamente alla ricerca della loro perduta metà. Da qui deriverebbe secondo Aristofane, l’attrazione delle femmine per le femmine (da lui disprezzata), delle femmine per i maschi e viceversa (da Aristofane giudicata una bassa espressione di bestialità) e, infine, l’attrazione del maschio verso il maschio, che è la più sublime.
Il rapporto educativo fra un adulto maschio e un giovane adolescente si svolgeva secondo un preciso rituale:
– L’adulto amante doveva corteggiare a lungo il giovane amato con piccoli regali e attenzioni, prima di ottenerne i favori.
– Il ragazzo era tenuto a contrapporre un atteggiamento di ferma ma educata ritrosia.
– L’amante più anziano svolgeva l’opera di educazione del giovane, contribuendo alla sua formazione culturale e mondana, offrendo al giovane la possibilità di entrare nella vita sociale e politica della città.
– In cambio di ciò il giovane era tenuto a offrire all’adulto le sue grazie e a sottostare alle sue richieste sessuali.
Numerosi vasi dipinti mostrano scene di amore pederastico in cui l’adulto accarezza contemporaneamente il viso e i genitali del giovane, mentre quest’ultimo sembra spesso tenerlo a distanza e non mostrare segni di eccitazione (il pene non è eretto). Erano vietati sia i rapporti anali che orali.
Figure particolari del mondo greco erano le etère, cioè donne che si facevano mantenere in cambio di favori sessuali. Non si trattava però di prostitute povere ed ignoranti, ma di donne libere, intelligenti, colte e raffinate.
L’eterosessualità ha comunque ispirato ampiamente la letteratura fra il V e il IV secolo a.C.: Aristofane, per esempio, in due delle sue commedie più importanti, dà una straordinaria testimonianza di una chiara eterosessualità. In particolare nella commedia Lisìstrata racconta che le donne sono stufe che quei “fessi” di uomini continuino accaniti a fare la guerra del Peloponneso: guidate da Lisìstrata, decidono così di imporre agli uomini di concludere la pace ricorrendo al ricatto dello sciopero sessuale ad oltranza. Il fatto che gli uomini, dopo giorni di astinenza, si arrendono e decidono di porre fine alla guerra, dimostra che l’eterosessualità era vivissima e vigorosa.
Le civiltà antiche conoscevano anche una serie di manifestazioni che noi oggi classifichiamo come devianze o parafilie, in particolare la zoofilia, che veniva detestata e punita con la morte dalla civiltà ebraica.
Particolarmente diffuso anche l’incesto, che la Bibbia puniva persino con la morte.
Chiare testimonianze, nella mitologia greca, anche al narcisismo, derivante dal mito di Narciso, e alla scopofilia (voyeurismo).