Strategie sessuali evoluzionistiche e omosessualità
Le strategie sessuali si esprimono in comportamenti che conducono alla riproduzione e sono quindi strettamente influenzate dall’evoluzione e dalla selezione naturale. Queste strategie consentono all’individuo di raggiungere il proprio scopo riproduttivo e danno spiegazioni ecoetologiche evoluzionistiche alla monogamia, alla poliginia, alla poliandria.
L’omosessualità invece, in questo quadro esplicativo sulle strategie sessuali, non trova una spiegazione altrettanto efficace. Quale obiettivo riproduttivo può raggiungere una strategia che fa attrarre e copulare, in particolare nei casi caratterizzati dalla esclusività e continuità del rapporto, due individui dello stesso sesso?
Nonostante negli animali emerga una vastissima diffusione di comportamenti omosessuali, tuttavia tali comportamenti riguardano scambi sessuali, quasi mai esclusivi e continui, in cambio di risorse a scopo sociale o gerarchico.
La presenza dell’omosessualità sia fra gli animali che nell’uomo induce a chiedersi se essa abbia una base genetica o sia una risposta sociale e/o biologica a stimoli ambientali esterni. Se avesse una base genetica, l’omosessualità maschile metterebbe in evidenza un fondamentale paradosso: il dilemma darwiniano. Come è possibile che i fattori genetici del nostro DNA si possano diffondere di generazione in generazione nella popolazione producendo un comportamento che può ridurre il successo riproduttivo di coloro che lo mettono in atto?
Omosessualità femminile
Quando gli individui maschi vengono interrogati mediante un questionario che esamina la percezione del proprio orientamento sessuale, chiamato scala Kinsey, essi tendono a dichiararsi o completamente omosessuali o completamente eterosessuali, con pochi casi intermedi: una distribuzione a U piuttosto che un gradiente decrescente (dall’eterosessualità all’omosessualità esclusiva) come nel caso delle femmine. Nei maschi l’omosessualità è più spesso netta ed esclusiva, mentre nelle femmine sono più frequenti i soggetti con orientamenti intermedi (o bisessuali) e più rari quelli esclusivamente omosessuali. Questi casi di omosessualità maschile esclusiva e continua sono il cuore del paradosso darwiniano. Nelle femmine, inoltre, l’omosessualità non sembra ridurre la fecondità come nei maschi, che restano quindi l’argomento evoluzionistico maggiormente controverso.
Definizione di omosessualità
L’omosessualità è una delle possibili espressioni dell’orientamento sessuale, che si esprime in attrazione sentimentale e sessuale tra individui dello stesso sesso biologico. Per orientamento sessuale si intende un’inclinazione sessuale non passeggera (di tipo comportamentale-psichica) soggettiva e naturale di un individuo verso individui dello stesso sesso, di sesso opposto o entrambi.
La presenza accettata e frequente della pratica omosessuale in molte culture tribali, fa pensare che essa non sia né una pratica innaturale né una perversione.
L’opinione pubblica, mentre in passato pensava che l’omosessualità fosse di origine ambientale e sociale, ultimamente ritiene che essa abbia una base biologica e genetica.
Il nostro tempo presenta una caratteristica paradossale: da una parte un’ormai immodificabile e per molti aspetti acquisita presenza gay e lesbica sancita socialmente dalla promulgazione di leggi che tutelano la coppia omosessuale; dall’altra un ritorno (in ambito politico conservatore e religioso) di atteggiamenti omofobi persecutori e patologizzanti.
Eziologia
Diverse teorie sono state elaborate per spiegare le cause dell’omosessualità.
Teoria religiosa
La posizione religiosa definisce il comportamento omosessuale contro natura, frutto di influenze demoniache un tempo da reprimere, sopprimere e purificare con il rogo e comunque con l’espiazione, nonostante tale pratica sia ampiamente presente nel mondo naturale degli animali.
Teoria psicopatologica
Secondo questa teoria l’omosessualità sarebbe un disturbo della personalità e dell’orientamento sessuale, tanto che l’autorevole manuale americano DSM (che classifica le malattie mentali) per due edizioni l’aveva inclusa nelle perversioni sessuali. Nel 1973 la comunità degli psichiatri decise di “depatologizzare” l’omosessualità che, nella III edizione del DSM del 1980, fu espunta come malattia, contribuendo così a ridurre lo stigma e il pregiudizio verso questa condizione, favorendone l’accettazione sociale.
Teoria psicoanalitica
Nell’opera di Freud è possibile individuare due diverse visioni che guidano il suo pensiero sulla sessualità, visioni che talvolta entrano in conflitto tra di loro.
Da un lato avanza un concetto radicale di “libertà sessuale” che distrugge le concezioni convenzionali sulla sessualità, dall’altro, con un atteggiamento di “darwinismo freudiano”, indica nella riproduzione lo scopo vero della sessualità, e radica l’eterosessualità nella biologia.
Da un lato enfatizza l’ubiquità della fantasia e del desiderio sessuale polimorfo (anche omosessuale) e sottolinea la difficoltà di dividere esattamente la normalità dalla patologia, dall’altro propone una sorta di etica evoluzionistica dello sviluppo psicosessuale che non può che culminare nell’idealizzazione e nella naturalizzazione del comportamento eterosessuale riproduttivo come comportamento maturo e normale. Freud avrebbe cioè scambiato la norma sociale del darwinismo imperante per un fatto di natura e così gli sarebbe sfuggito il valore moralizzante implicito nella sua teoria.
All’interno della sua teoria evolutiva a stadi, l’omosessualità era dovuta alla fissazione a uno stadio precoce e immaturo dello sviluppo psicosessuale e pertanto era ritenuta una anomalia patologica. Egli stesso però si contraddiceva quando affermava che “l’inversione” si trova in persone che sono abbastanza sane per altri aspetti.
Secondo Freud una delle cause dell’omosessualità risiedeva nella mancata risoluzione del complesso di Edipo. Altre cause erano identificate nella forte fissazione amorosa alla madre, con cui il figlio si identificava successivamente, e nell’assenza di una figura paterna forte. La ricerca di uomini giovani simili a sé indicava inoltre una scelta amorosa narcisistica.
Sul finire del secolo scorso vari fattori, tra cui le trasformazioni sociali, una nuova attenzione alla declinazione plurale delle sessualità e il loro studio interdisciplinare, la diffusione dei modelli psicoanalitici relazionali e il coraggio e l’intelligenza di molti psicoanalisti e psicoanaliste hanno costretto la psicoanalisi a mettere in discussione e le sue teorie e i suoi pregiudizi, promuovendo nuovi modi di pensare.
Entrando più nel merito della tradizione psicoanalitica sulla omosessualità, possiamo dire che il presupposto teorico fondamentale era fondato su un modello dicotomico e normativo della natura umana che usava, dandole per scontate e senza averle riflettute abbastanza, le categorie di maschile/femminile, attivo/passivo, eterosessuale/omosessuale, come polarità contrapposte del genere, della sessualità e dell’orientamento sessuale, spesso facendoli coincidere.
Uno dei pregiudizi più radicati nella cultura psicoanalitica tradizionale è stata, e in alcuni casi lo è ancora in modo implicito, la costruzione binaria per cui maschile=attivo e femminile=passivo. Il contributo dei gender studies è stato fondamentale nell’aiutarci a riconoscere le strategie culturali che si annidano dietro a presunti fatti di natura. La tradizionale teoria psicoanalitica aveva ecceduto nel generalizzare, presupponendo che mascolinità e femminilità fossero categorie distintive del sesso biologico maschile e del sesso biologico femminile anziché dimensioni che potevano trovarsi in diversa quantità nei due sessi biologici maschile e femminile.
Orientamento sessuale (l’attrazione erotica e affettiva per i membri del sesso opposto, dello stesso sesso o entrambi), identità di genere (l’identificazione primaria e permanente della persona come maschio o femmina) e ruolo di genere (l’insieme di aspettative e ruoli su come gli uomini e le donne si debbano comportare in una data cultura e in un dato periodo storico) sono concetti tra loro diversi e non sovrapponibili; correlabili ma non necessariamente correlati. Non ha senso pensare alle persone omosessuali come a “uomini con una forte componente femminile=passiva” o a “donne con una forte componente maschile=attiva” perché l’evidenza empirica sconferma questa categorizzazione semplificante.
Anche l’equiparazione dell’amore per una persona dello stesso sesso a un desiderio narcisistico per ciò che è uguale a se stessi, semplifica la complessità dei rapporti amorosi e delle relazioni umane. Per Kohut, l’omosessualità non differisce teoricamente dalla eterosessualità e, come quest’ultima, può occupare tutte le posizioni di un continuum che va dall’amore narcisistico (per se stessi e per quelli che sono uguali a sé) all’amore sano e maturo (per una persona diversa da sé).
Insomma, è sulla base di come si ama e non di chi si ama che l’amore può essere considerato narcisistico.
Anche l’immaturità psichica dell’omosessuale, derivante dalla fissazione a una tappa precoce dello sviluppo della psicosessualità umana, si va sempre più rivelando una foglia di fico pseudoscientifica usata per coprire un pregiudizio.
Piuttosto non bisogna trascurare gli effetti mentali traumatici sulla personalità dell’omosessuale derivanti dal pregiudizio sociale e culturale poiché la capacità di formare relazioni intime, di vivere serenamente la sessualità e di sentirsi a proprio agio, possono essere costantemente minacciati da sentimenti di vergogna e di colpa repressi. Questo stato definibile come omofobia interiorizzata, ha le sue radici nelle reazioni del soggetto alla “scoperta” del proprio desiderio omosessuale e della propria non conformità agli stereotipi di genere.
Secondo alcuni analisti l’unica risposta onesta alla domanda sull’origine e sullo sviluppo dell’attrazione erotica e sull’orientamento sessuale è che, semplicemente, non sappiamo perché alcune persone diventino eterosessuali e altre diventino omosessuali o bisessuali. Non sappiamo come le forze biologiche, genetiche, le identificazioni, le pressioni culturali alla conformità e il bisogno di adattamento, contribuiscano alla formazione del soggetto e alla costruzione della sua sessualità. Sappiamo invece che è opportuno partire da una declinazione plurale delle sessualità (omo-, etero-, bi- che siano) poiché, nella storia dell’individuo, molteplici sono le identificazioni e le formazioni di compromesso, nelle fantasie e nei comportamenti.
Teoria genetica
Alcuni ricercatori hanno dimostrato il rilevante ruolo della componente genetica nell’attivare una predisposizione all’omosessualità. L’ipotesi che l’omosessualità maschile possa avere una componente genetica trae origine dagli studi sulla familiarità dell’omosessualità.
- Studi sui gemelli. I dati sui gemelli omozigoti e dizigoti sostengono l’idea che la sessualità umana sia influenzata in parte dal genoma, anche se l’ambiente condiviso sembra avere un ruolo non indifferente.
- Familiarità. I ricercatori hanno rilevato che tassi più elevati di omosessualità rispetto alla popolazione generale erano presenti nella famiglia materna.
La plausibile presenza di un fattore genetico sottostante l’omosessuale maschio e il plausibile legame dello stesso con la linea materna, ha portato a supporre la presenza di un gene-gay sul cromosoma sessuale X, ereditato dalla madre che, a differenza del padre, ha un maggior tasso di parenti gay.
- Il cervello degli omosessuali. Studi sul cervello hanno dimostrato che negli omosessuali e nelle donne una piccola porzione dell’ipotalamo anteriore (l’INAH-3) ha una forma diversa e un volume inferiore rispetto agli uomini eterosessuali e ciò ha fatto ipotizzare che l’INAH-3 sia intimamente legato al comportamento sessuale maschile. Altri studi successivi hanno dimostrato che differenze di volume e forme di altre aree cerebrali erano collegate all’orientamento sessuale e non tutti gli studi però concordano sulle effettive differenze in queste regioni cerebrali fra omosessuali ed eterosessuali.
- Soluzione del dilemma darwiniano. La crescente serie di prove che vi siano almeno alcune basi genetiche responsabili dell’orientamento sessuale, solleva apertamente il dilemma darwiniano che suggerisce come impossibile l’esistenza di geni che non aumentino in qualche modo il successo riproduttivo di chi li possiede.
Il fatto accertato che gli omosessuali maschi si riproducano meno degli eterosessuali sarebbe una condizione sufficiente per eliminare rapidamente tali geni dalla popolazione.
Delle due l’una: o risulta vera la teoria evoluzionista secondo la quale tali geni non possono esistere e sopravvivere, quindi i dati sulla questione sono errati, oppure ci deve essere un meccanismo, ancora sconosciuto, che permette a tali geni di mantenersi nella popolazione nonostante la pressione selettiva. Terza possibilità, difficile da credere, è il fallimento della teoria dell’evoluzione nel caso dell’omosessualità.
Una ulteriore ricerca su due campioni di popolazione, uno omosessuale e l’altro eterosessuale, ha dimostrato che:
- gli omosessuali avevano avuto interesse nei confronti del sesso durante l’infanzia con frequenza maggiore rispetto agli eterosessuali, risultando inoltre attratti prevalentemente dai maschi;
- gli omosessuali avevano un notevole eccesso di fratelli maggiori rispetto agli eterosessuali e, soprattutto;
- gli omosessuali avevano molti più parenti gay nella linea materna che non nella corrispondente linea paterna.
La variabile di gran lunga più importante per spiegare l’orientamento sessuale del campione è dunque il fattore ereditario materno, poi l’ordine di nascita con i fratelli maschi maggiori e infine l’interesse sessuale precoce. La combinazione delle tre variabili però spiega solo il 20% dei dati, mentre il restante 80% resta non spiegato da questi fattori. Potrebbero essere coinvolti ulteriori fattori genetici, forse non materni, o cause ambientali non esplorate, o altro ancora.
Il dato empirico che le femmine della linea materna del campione omosessuale avessero tutte più figli sia rispetto alle femmine della linea paterna che rispetto al campione degli eterosessuali ha fatto ipotizzare che i caratteri del cromosoma X ereditato dalla madre, quando sono presenti nei maschi ne influenzano l’orientamento sessuale verso l’omosessualità, quando invece sono presenti nelle femmine ne aumentano la fecondità. Questi geni riuscirebbero a mantenersi nella popolazione perché, sebbene riducano la propria diffusione quando sono nei maschi, la accelerano quando sono nelle femmine. Questa ipotesi che sostiene l’origine multigenica (più geni che intervengono con effetti cumulativi) della omosessualità, di cui solo alcuni si trovano sul cromosoma X, mentre altri si trovano sugli autosomi, potrebbe sciogliere il dilemma darwiniano e confermare la teoria evoluzionista.